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Il punto di vista della SKGZ sul Giorno del Ricordo

Nella Relazione della Commissione mista storico-culturale italo-slovena si legge quanto segue a proposito del 1945: “Per gli sloveni si trattò di una duplice liberazione, dagli occupatori tedeschi e dallo Stato Italiano. Al contrario, i giuliani favorevoli all’Italia considerarono l’occupazione jugoslava come il momento più buio della loro storia, anche perché essa si accompagnò nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano ad un’ondata di violenza che trovò espressione nell’arresto di molte migliaia di persone, parte delle quali venne in più riprese rilasciata – in larga maggioranza italiani, ma anche sloveni contrari al progetto politico comunista jugoslavo – in centinaia di esecuzioni sommarie immediate, le cui vittime vennero in genere gettate nelle ” foibe “”

Gli storici hanno fatto e continuano a fare il loro lavoro con il diritto inalienabile della libertà di ricerca storica. Ma il processo di riconciliazione a livello sociale conta sulla capacità di comprendere la sofferenza dell’altro. Ci è quindi chiaro che gran parte della popolazione triestina non vede l’esercito partigiano come un liberatore. Sappiamo che la violenza del dopoguerra ha causato nuove sofferenze e vittime innocenti. I discendenti dei caduti negli abissi carsici e dei liquidati hanno il diritto di piangere e ricordare i loro familiari, anche se hanno causato sofferenze alla nostra comunità. Questo è un atto di rispetto, di democrazia e di pace. Anche se un soldato tedesco e un fascista italiano sono stati violenti nei confronti degli sloveni, non possiamo togliere alle loro famiglie il diritto di ricordarli.

Crediamo che il 13 luglio 2020 Borut Pahor e Sergio Mattarella abbiano voluto inviare un forte messaggio pacificazione. Molti nella nostra comunità e nell’SKG, hanno visto questa scelta come un abuso del simbolo della Casa nazionale, un’occasione mancata per riconoscere gli atti criminali fascisti contro la nazione slovena, o un tentativo di stabilire un equilibrio tra il fascismo e la lotta partigiana. Quest’ultima ipotesi è assolutamente inaccettabile.

Il discorso pubblico tuttavia, con poche eccezioni, cita solo la foiba di Basovizza come luogo in cui i Presidenti si stringono simbolicamente la mano. “I partigiani comunisti di Tito hanno lasciato una lunga scia di sangue in questi luoghi” e ancora “migliaia di italiani e non solo vennero gettati in questa foiba ed in altre voragini simili, solo perché avevano la colpa di essere italiani”, si è sentito alla Foiba. “Bestie di Tito” e “assassini”: così il sindaco di Trieste ha definito i nostri nonni e le nostre nonne, le nostre madri e i nostri padri che hanno aderito alla resistenza. Se dovessimo difenderli, ci troveremmo di fronte all’ulteriore rimprovero di avere noi stessi le mani insanguinate. Questo sindaco è stato insignito di un riconoscimento di Stato della Repubblica di Slovenia.

Oltre al travisamento dei fatti storici, non vediamo in queste frasi né il desiderio né la volontà di comprendere l’altro indicato dall’esempio dei due Presidenti. Stigmatizzando e usando termini come “bestie, assassini, ecc.” viene perpetrata della violenza verbale contro la nostra comunità. Siamo colpiti e non accettiamo che qualcuno etichetti i nostri avi in questo modo. Constatiamo che il 10 febbraio e il 6 settembre sono diversi per approccio e stile di comunicazione. Le commemorazioni degli eroi sloveni fucilati a Basovizza cercano di creare un’atmosfera di dialogo e di riflessione.

Comprendere la sofferenza dell’altro non toglie nulla alla propria storia e alla propria identità, anzi: crea un clima di crescita comune per un futuro migliore. Il rapporto della Commissione mista afferma che non tutti hanno vissuto l’arrivo del IX Corpo della IVª. Armata jugoslava come la liberazione di Trieste. L’Unione Culturale Economica Slovena lo interpreta invece come uno dei momenti più luminosi della lotta di liberazione slovena, anche se accetta e riconosce altre memorie o interpretazioni.

“Il patriottismo costruisce ponti, il nazionalismo li distrugge”, ha detto la professoressa Marija Bidovec qualche anno fa a Basovizza. Alcuni di noi cercano di costruire ponti, mentre altri usano una retorica violenta ed escludente per esaltare le sofferenze del proprio popolo. Frasi piene di odio come “bestie e assassini” distruggono la coesistenza e alimentano un clima di violenza nei confronti dei vicini.

Gli sloveni in Italia siamo una comunità numericamente più piccola che da sempre condivide lo stesso territorio con la popolazione italiana. Viviamo sulla nostra terra, dove sono sepolti i nostri nonni, e siamo pronti a combattere per essa: non con le armi, ma, come sempre, con la cultura, la lingua e visione cosmopolita. Nessuno ha il diritto di insultarci, nessuno ha il diritto di calpestare la nostra storia, la nostra identità e le nostra memoria. E il 10 febbraio è successo esattamente questo.

Chiediamo pertanto allo Stato Italiano la parità di trattamento delle sofferenze degli italiani e degli sloveni nel XX° secolo. Chiediamo allo Stato italiano parità di trattamento della cultura, della lingua e dell’identità della comunità nazionale slovena in Italia, tenendo presente che, tra l’altro, i fondamenti di questa identità sono l’antifascismo e l’eredità della resistenza al fascismo, che ci è stato inflitto sistematicamente in u modo cruento in nome dello Stato Italiano per più di vent’anni. E per il quale lo Stato non ha mai chiesto chiaramente perdono.

L’Unione Culturale Economica Slovena non rinuncerà al dialogo con gli altri, alla ricerca di orizzonti aperti, alla fraternità, all’unità e alla libertà. Tuttavia, dopo questo 10 febbraio, è meno fiduciosa e più vigile a causa di queste parole di odio. Siamo inoltre profondamente preoccupati per l’atteggiamento su questo tema della Repubblica di Slovenia piuttosto distante.

Nel caso in cui nelle ultime settimane nei media si siano date dubbiose interpretazioni della storia a nome della nostra organizzazione vorremmo con questo comunicato affermare con chiarezza la posizione ufficiale dell’SKGZ, della sua Presidente e del Comitato esecutivo dell’organizzazione. Siamo orgogliosi della nostra storia, dei nostri combattenti della TIGR, degli attivisti, delle staffette, dei combattenti del Fronte di liberazione nazionale, dei partigiani e dei loro atti eroici che hanno portato la nazione slovena alla resistenza dalla distruzione dell’identità nazionale nonchè alla liberazione. Sarebbe quindi indegno da parte nostra chiedere scusa per loro in qualsiasi modo; al contrario, difenderemo i resistenti che si sono opposti al regime finché avremo voce.

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